Eredità Leonardo Del Vecchio, lite tra gli eredi per la tassa di successione: alcuni particolari rischiano di complicare le cose

Pubblicato il: 19/09/2023

Quando si parla di successioni ed eredità, anche nelle migliori famiglie possono nascere litighi ed incomprensioni. Ne sanno qualcosa gli eredi di Leonardo Del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica e presidente esecutivo di EssilorLuxottica.

A quasi un anno e mezzo dalla morte dell’imprenditore, sebbene ognuno degli otto eredi abbia acquisito una quota del 12,5% del capitale della Delfin (la società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità della famiglia Del Vecchio), restano ancora degli aspetti legati al testamento da risolvere. Aspetti che hanno portato gli eredi ad affidare la questione ai propri legali.

Tra i punti irrisolti, si discute su chi debba far fronte alla tassa di successione, che è l’imposta riferita ai beni ricevuti in eredità da una persona. In particolare, la famiglia si è spaccata perché non si riesce a trovare una soluzione per la divisione delle imposte di successione sul passaggio delle quote di Essilux al ceo Milleri (si tratta dell’assegnazione di 2,15 milioni di azioni per un valore di 270 milioni di euro) e al manager Bardin (22.000 di azioni). La quota, posta a carico degli eredi, è calcolata all’incirca in 110 milioni.
Degli otto eredi dell’imprenditore, sei sono i figli Claudio, Maria e Paola (avuti dal primo matrimonio con Luciana Nervo), Leonardo Maria (figlio unico avuto con Nicoletta Zampillo), Luca e Clemente (nati dall'unione con la compagna Sabina Grossi). Quattro di questi non sono d’accordo.

Il contrasto tra gli eredi è aperto: ci sono tesi diverse su come pagare le imposte per il passaggio delle quote.

E tu sai cosa stabilisce la legge in questi casi?

Quando ci sono più eredi (come nella vicenda Del Vecchio), chi deve pagare le imposti sulla successione? In linea generale, tutti gli eredi devono pagare le tasse sulla successione.

E sai quanto deve versare ciascun erede? L’imposta si calcola, applicando aliquote che cambiano in base al grado di parentela: nel caso dei figli, essi pagano il 4% del valore dei beni ricevuti con una franchigia di 1 milione di euro (la franchigia è la parte di patrimonio su cui si calcola l’imposta di successione).

Tuttavia, nel caso degli eredi Del Vecchio, la situazione si complica un po’. Tra i quattro figli che sono in disaccordo, due hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario. Si tratta di Luca e Clemente Del Vecchio.

Allora, cambia qualcosa se qualcuno degli eredi accetta con beneficio di inventario? La risposta è no. Devi sapere che dovrà pagare anche l’erede che ha accettato con beneficio di inventario: questo perché comunque si considera “erede”. Al contrario, non dovrà pagare colui che rinuncia all’eredità (perché, ovviamente, non può ritenersi un “erede”).

Un accordo tra gli eredi è necessario. Sai perché? Perché, se uno di loro non paga la propria parte, potrebbero essere dolori per tutti gli altri.
Infatti, quando uno degli eredi non paga la propria parte di imposta di successione, l’Agenzia delle Entrate potrà rivolgersi a tutti gli altri eredi per chiedere il versamento dell’importo (importo maggiorato perché, oltre alla somma non pagata, devi calcolare anche gli interessi, la sanzione per omesso versamento e l’aggio della riscossione).

Con un linguaggio tecnico, si dice che tutti gli eredi hanno una responsabilità solidale nei confronti del fisco: ossia, per ottenere la parte non versata dall’erede inadempiente, l’Agenzia delle Entrate può chiedere l’intero pagamento del dovuto a ciascuno degli altri eredi.
C’è un’eccezione: se l’erede ha accettato l’eredità con beneficio di inventario (come i due figli di Del Vecchio), questo è obbligato in solido nei limiti della propria quota.

Però, l’erede, che ha pagato oltre la quota di sua competenza, potrà agire nei confronti dell’erede inadempiente per ottenere il rimborso di quanto pagato in più.

Bisognerà vedere se ritornerà la pace in famiglia e se gli eredi di Del Vecchio, attraverso i rispettivi avvocati, riusciranno a trovare un punto di accordo e risolvere la questione.


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Abusi edilizi in casa e giardino? Ecco come regolarizzare tutto gratis con la nuova sanatoria automatica

Pubblicato il: 18/09/2023

Hai costruito abusivamente una piccola veranda sul tuo terrazzo oppure hai abbattuto un muro per creare quell’openspace che tanto volevi nel tuo appartamento. Tutto bello, ma ora vuoi sapere come poter regolarizzare questi abusi. Ti spieghiamo noi cosa stabilisce la legge e quali sono le ultime novità per le sanatorie.

Il primo passo è conoscere la differenza tra sanatoria e condono.
Il condono riguarda opere illecite: cioè, opere costruite violando la legge (in particolare, la normativa urbanistica ed edilizia). Con il condono, puoi ottenere l’annullamento dell’illecito e anche la sanatoria di interventi che non sono considerati dalla legge.
Invece, la sanatoria riguarda opere conformi alla legge, ma costruite senza le necessarie autorizzazioni. In pratica, la sanatoria si concretizza in un accertamento di conformità.

E tu quanto ne sai sulla sanatoria di un abuso edilizio?

Innanzitutto, la sanatoria non è sempre possibile.
Secondo la legge, la sanatoria dell’abuso è possibile quando l’intervento abusivo rispetti sia la legge in vigore al momento della costruzione, sia la legge vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Si parla di doppia conformità.
Senza questo requisito, l’intervento abusivo non è sanabile.

Normalmente, per la sanatoria di un abuso edilizio, è necessario avviare una procedura amministrativa e spesso, oltre a dover spendere soldi, i tempi possono essere molto lunghi a causa degli adempimenti da fare.
Però, con le ultime novità legislative, per gli abusi edilizi minori, si è cercato di rendere il tutto più rapido e semplice con sanatorie automatiche gratis (ossia, senza necessità di apposita richiesta di sanatoria e relativo pagamento). Cerchiamo di capirle insieme quali sono i casi in cui la sanatoria scatta automaticamente.

La prima sanatoria automatica gratis riguarda piccole difformità edilizie. Questa scatta quando l’abuso (l’inosservanza dell’altezza, dei distacchi, della cubatura o della superficie coperta) non va oltre il 2% delle misure previste nel titolo abitativo: il limite della tolleranza del 2% deve risultare tra il progetto e lo stato di fatto della costruzione.

Poi, ci sono anche altre sanatorie automatiche gratuite per gli interventi abusivi in giardino o in casa (ad esempio, tettoie nel giardino o verande sul balcone).

Affinché queste sanatorie di attivino, è necessaria la dichiarazione del tecnico abilitato, il quale deve dichiarare che si tratta di piccoli abusi, i quali non violano la normativa urbanistica ed edilizia e non creano danni all’agibilità dell’immobile. Inoltre, con tale dichiarazione, si deve anche dimostrare lo stato legittimo dell’immobile (allegando gli atti per il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunioni etc.).

Peraltro, ti conviene sapere anche che la Cassazione si è pronunciata recentemente sulle sanatorie automatiche gratis.
Per la Suprema Corte, nell’ottica del principio di proporzionalità, prima di approvare la demolizione dell’abuso edilizio, occorre controllare se l’abuso sia o meno sanabile e se la distruzione pregiudica i diritti fondamentali delle persone (ad esempio, bisogna vedere se l’immobile su cui è stato fatto l’abuso sia una prima o seconda casa, sia o meno la residenza principale).

Ora sai anche tu quali abusi edilizi rientrano nelle ultime novità legislative.


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Processo contro Google, il più importante dell’era moderna: Internet potrebbe cambiare per sempre

Pubblicato il: 17/09/2023

Si è tenuta martedì 12 settembre la prima udienza del caso Stati Uniti contro Google. Il colosso di Mountain View ha così spento le candeline del suo 25° compleanno in tribunale perché accusato di abuso di posizione dominante. Ma cosa significa? E quali potrebbero essere le conseguenze?

Il Dipartimento di Giustizia americano sostiene che l’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin abbia messo in atto pratiche anticoncorrenziali per escludere i piccoli rivali dal mercato della pubblicità online e per mantenere la sua posizione di predominio nel settore della ricerca. Quello che si contesta non è tanto la detenzione della posizione di monopolio che, di per sé, non è illegale, ma il modo in cui è stata ottenuta. Il grande motore di ricerca avrebbe cioè sfruttato le sue enormi risorse economiche per concludere accordi commerciali, per oltre 10 miliardi di dollari, con altre aziende quali Apple e Samsung, per far sì che il suo motore di ricerca fosse installato come motore di ricerca predefinito nella maggior parte dei loro dispositivi.
È così che il gigante farebbe fuori i prodotti della concorrenza. È così che succede che ogni volta che volete fare una ricerca con i vostri smartphone o computer il primo motore di ricerca che vedete sullo schermo è Google.

Google che, dal canto suo, di illegale non ci vede niente. E ribatte che qualora lo volessero sul serio le persone potrebbero optare per altri motori di ricerca con un semplice click. Ma tanto non lo fanno perché in fondo Google è il migliore. E per dirlo il colosso di Mountain View di studi di avvocati ne ha assoldati tre. Tanti quanti gli anni che il Dipartimento di Giustizia americano ha impiegato per preparare la sua battaglia contro l’azienda. “Le persone non usano Google perché devono, lo usano perché vogliono” ha tuonato l’avvocato di Google Kent Walker in una dichiarazione.

A decidere le sorti del gigante che detiene una fetta di oltre il 90% del mercato della ricerca online sarà un processo senza giuria che durerà all’incirca dieci settimane. Un processo che è la più grande battaglia antitrust avviata dagli Stati Uniti contro un’azienda tecnologica dopo quella contro Microsoft del 1998.
Se Metha (il giudice non ostile ai Big Tech del Distretto della Columbia, scelto nel 2014 dall’allora presidente Barack Obama) dovesse deliberare a favore delle richieste dell’Antitrust del Dipartimento di Giustizia, le conseguenze potrebbero essere immense: il colosso Google potrebbe essere chiamato a sborsare miliardi di dollari o ad adottare politiche che consentano ai piccoli rivali finora pesantemente schiacciati di entrare finalmente nel mercato su cui attualmente troneggia l’azienda di Page e Brin.

Cosa ne sarà del regno di Google è difficile dirlo, bisognerà aspettare sino alla fine dell’anno. Quel che è certo è che il caso rappresenta una battaglia legale storica per il futuro di Internet e per il modo in cui i giganti del Web continueranno a fare affari nel mondo digitale.


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Cacciati dall’aereo a causa delle proteste degli altri passeggeri: la vera sorpresa è il futile motivo del negato imbarco

Pubblicato il: 16/09/2023

Sei in aereo pronto a partire e poi vieni cacciato dal volo per un motivo futile. Che faresti in questo caso? Sai quali sono i tuoi diritti in caso di imbarco negato dalla compagnia aerea?

Sembra una situazione assurda, ma è quanto accaduto negli Stati Uniti ad una famiglia americana (padre, madre e una figlia piccola) che è stata allontanata dall’aereo a causa delle proteste degli altri passeggeri: a detta loro, la famiglia emanava cattivo odore.
A causa di tali lamentele, i membri della compagnia aerea American Airlines hanno invitato l’intera famiglia a scendere dal volo. Peraltro, secondo la versione del marito, i bagagli della famiglia non sarebbero stati nemmeno restituiti.
Dal canto suo, la compagnia aerea ha precisato che, per la famiglia, è stato prenotato un albergo per la notte e sono stati forniti dei buoni pasto. Inoltre, per la famiglia, è stato anche prenotato un nuovo volo.

Se tutto ciò fosse accaduto in Italia, tu avresti saputo cosa fare? Vediamo insieme i tuoi diritti in caso di imbarco negato dalla compagnia aerea.

Con “negato imbarco” ci si riferisce al caso in cui, sebbene il passeggero sia in possesso del biglietto e si sia presentato all’imbarco nei modi e tempi indicati, la compagnia aerea gli impedisce di salire a bordo dell’aereo.

In generale, il negato imbarco si ha a causa del cd. overbooking: ossia, l’ipotesi in cui la compagnia ha venduto più biglietti dei posti effettivamente disponibili. In tal caso, c’è uno specifico regolamento europeo (Reg. 261/2004) che tutela i passeggeri.
Però, la compagnia può negare l’imbarco anche se ci sono ragionevoli motivi come, ad esempio, motivi di salute o di sicurezza o documenti di viaggio inadeguati. In tal caso, ai passeggeri non spettano le tutele previste per l’overbooking.

Certo, potresti pensare che la protesta degli altri passeggeri per un cattivo odore non sia un ragionevole motivo per negare l’imbarco ad un passeggero. E non hai tutti i torti. Quindi, capiamo quali sarebbero stati i tuoi diritti in una situazione come quella raccontata.

Occorre sapere che quanto vedremo si applica ai voli intracomunitari (cioè, con partenza e arrivo in uno Stato membro dell’Unione Europea) e ai voli extracomunitari (quando si tratta di compagnia europea e il volo è con partenza da un Paese non comunitario e arrivo in uno Stato dell’U.E.).

Al passeggero, cui viene impedito di salire sull’aereo, ha diritto ad una serie di tutele.

In primo luogo, ha diritto ad una compensazione pecuniaria, il cui ammontare dipende dalla tratta e dalla distanza in chilometri percorsi.
Ancora, il passeggero rimasto a terra può decidere se ottenere il rimborso del prezzo del biglietto oppure l’imbarco su un diverso volo (il primo disponibile in relazione all’operativo della compagnia aerea o in una successiva data a lui più conveniente).
Inoltre, ha anche diritto alle ulteriori prestazioni di assistenza (pasti e bevande in relazione alla durata dell’attesa), ad una sistemazione in albergo (nel caso di uno o più pernottamenti), la possibilità di fare chiamate telefoniche o messaggi via telex, fax o posta elettronica.

Peraltro, vista la particolarità dell’accaduto, si ritiene che ci sia anche il diritto a richiedere il risarcimento del danno prevedibile come effetto normale dell’inadempimento o dell’illecito della compagnia aerea.


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Eredità Agnelli e la guerra dei quadri: la figlia Margherita sopraffatta dagli Elkan, come al solito infallibili

Pubblicato il: 15/09/2023

La stampa l'ha definita la "guerra dei quadri". Di cosa si tratta? Di uno dei tanti tasselli della faida legata all'eredità degli Agnelli, relativa in particolare alla collezione di quadri del defunto Gianni. Nella vicenda sono coinvolti Margherita Agnelli de Pahlen e i figli Ginevra, John e Lapo Elkann, rispettivamente figlia e nipoti dell'Avvocato.
La questione sulle opere d'arte, su cui recentemente si è pronunciato il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio, è sorta tempo addietro, quando Margherita Agnelli ha denunciato il furto di diversi dipinti di grande valore, che sarebbero scomparsi da un caveau in Svizzera. In particolare, si tratterebbe di opere di Balla, Bacon, De Chirico, Gerome, Monet e Picasso, tutti svaniti nel nulla, secondo le parole della donna.
Sono quindi partite le indagini, da cui però sarebbe emerso che, in realtà, queste opere non sarebbero mai state custodite nel caveau indicato dalla figlia dell'Avvocato. Un vero e proprio giallo, una trama degna di un film.

La vicenda dei dipinti, però, non si è esaurita con questa denuncia, anzi. Le opere d'arte sono divenute terreno di scontro, e la questione è giunta sino al TAR del Lazio.
La collezione dell'Avvocato, difatti, oltre ad essere di valore inestimabile e il sogno di tutti gli appassionati d'arte, è anche oggetto di un elenco pubblico presso il Ministero della cultura. Presso questo elenco sono registrate le “opere notificate” di Gianni Agnelli. Ma che si intende per "opere notificate?"
La notifica è l’atto con il quale il Ministero della cultura comunica al proprietario di un'opera che tale bene è stato dichiarato di particolare interesse dal punto di vista culturale. In virtù di un provvedimento amministrativo, quindi, ad un’opera d’arte di proprietà di un privato può essere assegnato lo status di bene culturale, in virtù dell'interesse storico-artistico.
Ebbene, anche le opere dell'Avvocato sono contenute in un registro pubblico, teoricamente consultabile. Tuttavia, dopo che un giornalista di "Report" ne ha richiesto l'accesso al Ministero, che glielo ha concesso, Ginevra, John e Lapo hanno presentato un esposto, opponendosi all'ostensibilità, e si sono rivolti al Tar del Lazio.
In particolare, secondo i nipoti di Gianni Agnelli, l'accesso a tale registro nazionale violerebbe la privacy e il diritto di proprietà degli eredi. L'organo di giustizia amministrativa, ha dato ragione ai fratelli, e ha accolto la loro richiesta di sospensione cautelare. L'udienza di merito è fissata per il 31 ottobre ma, nel mentre, il diritto alla riservatezza dei tre fratelli Elkann è stato riconosciuto prevalente rispetto all'interesse giornalistico, ed è stato sospeso l'accesso al registro detenuto presso il Ministero della cultura, precedentemente accordato al giornalista della trasmissione "Report".

Ma la vicenda sull'eredità Agnelli difficilmente si fermerà qui. Difatti, alla base vi sono diversi contenziosi legati al patrimonio. Margherita Agnelli, difatti, nel 2004 aveva concluso due accordi per regolare l'eredità dei genitori. In particolare, aveva scelto di vendere le azioni legate alla Fiat, temendone il tracollo, ed era uscita dalla Dicembre, la società della famiglia Agnelli che è alla base del loro impero. Anche in virtù di accordi con la madre Marella Caracciolo, Margherita ottenne gran parte dell’asse ereditario paterno e poté immediatamente monetizzare le quote della Dicembre. Scelta, però, di cui si pentì solo qualche anno più tardi, iniziando azioni legali al fine di vedere quegli accordi invalidati e di ottenere un supplemento di eredità ma i giudici italiani hanno affermato la validità di tali accordi.
Margherita, inoltre, ha anche intentato delle cause in Svizzera contro i tre figli nati dal matrimonio con Alain Elkann, che al momento non le hanno portato risultati. Non si esclude, tuttavia, che le recenti vicende sulle opere della collezione dell'Avvocato conducano ad ulteriori sviluppi nella grande faida legata all'eredità degli Agnelli. Per saperne di più, non ci resta che attendere.


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Non paghi una multa? Fermo dell’auto, ipoteca sulla casa, pignoramento sul conto: ecco tutto quello che devi sapere

Pubblicato il: 15/09/2023

Hai ricevuto una multa per violazione del Codice della strada, ma hai deciso di non pagarla o hai dimenticato di saldarla nei tempi di legge. Se ti sei trovato in una situazione del genere, ti sarai anche chiesto quali sono i rischi nel caso di mancato pagamento della multa. Capiamoli insieme.

Devi sapere che, da quando ricevi la multa, hai sessanta giorni per pagarla in somma ridotta.

Dopo i sessanta giorni, non solo perdi questa possibilità, ma ha inizio la procedura di creazione della cartella di pagamento.
In particolare, il Comune (se la multa è fatta dalla Polizia Locale) o il Prefetto (se la multa viene fatta da Polizia, Guardia di Finanza o Carabinieri) prepara il ruolo: cioè, l’elenco dei debitori e delle somme non pagate.
Nei cinque anni dal giorno della violazione, l’ente creditore (Comune o Prefetto) consegna il ruolo all’Agenzia delle Entrate Riscossione e questa provvederà a notificare la cartella di pagamento.

Con la ricezione della cartella di pagamento, la somma da pagare diventerà più alta rispetto a quella originaria: all’importo della sanzione (il doppio del minimo stabilito dalla legge) devi aggiungere gli interessi (il 10% per ogni sei mesi di ritardo nel pagamento), gli aggi dovuti all’Agenzia e le spese di notifica.

Dalla notifica della cartella, quanto tempo hai per pagare? Hai a disposizione altri sessanta giorni dalla ricezione della cartella.

E se non paghi nemmeno in questo caso, rischi qualcosa? Purtroppo, la risposta non ti piacerà.

Nel caso di mancato pagamento, potranno essere avviate le procedure di recupero del credito. Rischi il fermo amministrativo del tuo veicolo (più raramente, l’ipoteca della casa) o il pignoramento dello stipendio o del conto corrente.

Quindi, il primo rischio è quello del fermo amministrativo della tua auto o moto.
In questo caso, l’Agenzia ti notifica prima un avviso in cui si legge che puoi pagare entro trenta giorni (con unico versamento o in più rate) e che, in mancanza del pagamento, ci sarà il fermo. Il fermo viene eseguito senza che tu riceva altre comunicazioni, attraverso l’iscrizione del provvedimento nei registri mobiliari.

Chiaramente, il veicolo in fermo amministrativo non può circolare. Si tratta di una misura con una finalità cautelare: il veicolo non può essere utilizzato e ciò per evitare che venga danneggiato, in vista di un eventuale successivo pignoramento.

Per poter ricominciare ad usare il veicolo fermato, devi pagare il debito o, nel caso di rateizzazione, devi pagare la prima rata.

Altro pericolo, che potresti correre, è quello dell’ipoteca sulla casa.
In concreto, è una misura non frequente perché si può effettuare solo se il debito supera i 20 mila euro (una soglia davvero alto per una multa stradale).
Ti conviene comunque sapere che, anche in questo caso, ci sarà un preavviso di trenta giorni per il pagamento. In mancanza, si procede all’ipoteca. Ciò sempre nell’ottica di un successivo ed eventuale pignoramento.

Un ultimo rischio è il pignoramento.

Se non paghi, potresti subire il pignoramento dello stipendio o della pensione, nei limiti stabiliti dal codice di procedura civile. In questo caso, il pignoramento segue le regole stabilite sull’ammontare della mensilità (si va da un decimo ad un quinto, in base al suo importo).
Potresti vederti pignorato il conto corrente per intero, sempre nel limite del debito pendente.
E la casa? Anche la casa potrebbe essere pignorata. Tuttavia, è un’ipotesi rara perché è possibile il pignoramento dell’immobile solo se il debito va dai 120 mila euro in su.

Fai attenzione adesso che sei consapevole che, se non paghi una verbale stradale, ci possono essere conseguenze spiacevoli.


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Testamento alle badanti (soldi, pellicce e gioielli) tutte sotto processo: ma la decisione del giudice è inaspettata

Pubblicato il: 15/09/2023

Il Tribunale di Padova ha recentemente assolto tre donne accusate di circonvenzione di incapace ai danni di un anziano ingegnere, deceduto nel febbraio 2020 all'età di 99 anni.
Finite sotto processo l'amministratrice di sostegno dell'uomo nonché due badanti. Per chi non lo sapesse, l'amministratore di sostegno è il soggetto che, ai sensi dell'art. 404 del Codice Civile viene nominato dal giudice tutelare in favore della persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
La figura dell'amministratore di sostegno è stata pensata per quei soggetti che non sono totalmente incapaci di agire o di provvedere ai propri interessi, come invece i soggetti interdetti, a causa di una condizione di abituale infermità mentale. Quando interviene l'interdizione della persona, e viene nominato un tutore che ha il compito di rappresentarla e gestire i suoi interessi.
L'amministratore di sostegno, invece, ha un ruolo meno invasivo, in quanto dovranno essere da lui compiuti esclusivamente quegli atti che vengono individuati con decreto dal Giudice Tutelare, restando il beneficiario, che non si trova nella totale incapacità di provvedere a se stesso, libero di agire per tutto ciò su cui il giudice non ha disposto.

Tornando alla vicenda su cui si è pronunciato il Tribunale di Padova, la Procura aveva ritenuto configurabile in capo alle tre donne, in concorso tra loro, il reato di circonvenzione di incapace, previsto e punito dall'art. 643 del Codice Penale, che dispone che chiunque, "per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065."

Essenzialmente, la Procura accusava le due badanti e l'amministratrice di sostegno di aver indotto, dal 2014 al 2020, anno della morte dell'uomo, l'ingegnere a effettuare donazioni e a redigere testamento in loro favore. In particolare, l'uomo avrebbe redatto, negli anni, testamenti in favore dell'amministratrice di sostegno, nonché un lascito testamentario in favore di una delle due badanti e dell'amministratrice, rilasciando altresì all'amministratrice di sostegno una procura generale nel febbraio 2019, in presenza delle altre due donne. Ma non solo! Infatti, secondo l'accusa, l'ingegnere, sempre perché raggirato dalle imputate, avrebbe effettuato decine di versamenti di denaro e titoli di credito, nonché donazioni di pellicce e gioielli. Tutto ciò non solo in favore delle donne, ma anche dei compagni delle stesse. In favore delle due badanti sarebbero state versati dall'ingegnere oltre 526 mila euro in favore dell'una ed oltre 476 mila euro in favore dell'altra.

L'indagine era partita dopo che una parente dell'anziano, possibile erede, si era accorta degli importanti ammanchi nei conti del pensionato. La Polizia giudiziaria e la Procura, quindi, avevano poi acquisito varia documentazione utile, anche relativa alle cartelle cliniche del defunto, procedendo altresì a perquisizioni e sequestri nelle abitazioni delle imputate. Analizzando la movimentazione bancaria del novantanovenne, inoltre, erano stati riscontrati bonifici, assegni e prelievi di rilevanti importi, tutti in favore delle due badanti, per oltre un milione di euro sborsato dall'ingegnere negli ultimi tre anni.
Ebbene, il Tribunale di Padova, tuttavia, ha assolto le tre donne, aderendo alla tesi della difesa delle imputate, che sono riusciti a dimostrare che l'uomo, pur anziano, era lucido e sempre capace di intendere e di volere e aveva, in mancanza di eredi diretti, deciso di lasciare i suoi averi alle donne, che si erano prese cura di lui.

Come sappiamo, difatti, è possibile redigere testamento anche in favore di persone che non sono parenti, in quanto va tutelata la volontà del soggetto, libero di disporre come preferisce del proprio patrimonio. La legge, tuttavia, prevede che vi sia una quota non disponibile da parte del de cuius, la cosiddetta quota di legittima, ossia la quota di eredità che la legge riserva ai legittimari e della quale l'autore del testamento non può liberamente disporre. Tra i legittimari, individuati ai sensi degli artt. 536 e seguenti del Codice Civile, rientrano i parenti più stretti del de cuius, a cui la legge riserva, indipendentemente dalle disposizioni del testatore, una quota di eredità. Nel caso un legittimariosia stato leso, ossia abbia ricevuto meno del dovuto, o pretermesso, ossia sia stato del tutto escluso, ha il diritto di impugnare il testamento ed esercitare l'azione di riduzione, disciplinata dagli artt. 553 e seguenti del Codice Civile, al fine di ottenere una dichiarazione di inefficacia di ogni disposizione testamentaria e donazione che gli arrechi pregiudizio, così da vedere reintegrata la sua quota di legittima. Esperita vittoriosamente l'azione di riduzione, il legittimario può poi agire con l'azione di restituzione, disciplinata dagli artt. 561 e seguenti del Codice Civile, con il quale il soggetto leso va concretamente a recuperare i beni dai soggetti a cui il de cuius li ha trasmessi con disposizione testamentaria o donazione. Tale azione può, nei limiti di quanto previsto dall'art. 563 del Codice Civile, essere esperita anche nei confronti dei terzi aventi causa.

Un testamento in favore delle badanti è quindi del tutto valido, sempre che, dal punto di vista civile, non siano lesi i legittimari, e sempre che non si configuri, dal punto di vista penale, il reato di circonvenzione di incapace, che non è stato ravvisato nel caso deciso dal Tribunale di Padova.


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Come contestare una multa: c’è una grande differenze tra il ricorso al Giudice di Pace e al Prefetto, devi conoscerla

Pubblicato il: 14/09/2023

Hai ricevuto una multa per violazione del codice della strada (ad es., non hai rispettato il semaforo rosso), ma ci sono i presupposti per contestarla.

Se vuoi contestare una multa stradale, ci sono vari modi: oltre al ricorso in autotutela (il ricorso presentato all’organo che ha fatto la multa), ci sono il ricorso al Giudice di Pace e il ricorso al Prefetto.

È una tua scelta: puoi decidere di presentare uno o l’altro. Quali sono le principali differenze tra il ricorso al Giudice di Pace e quello al Prefetto?

Innanzitutto, quali sono i tempi per la presentazione?
Il ricorso al Giudice di Pace va presentato entro trenta giorni dall’accertamento o dalla notifica della multa. Invece, il ricorso al Prefetto va presentato entro 60 giorni dalla data di accertamento o dalla notifica della multa.

Poi, ci sono spese da sostenere per presentare il ricorso?
Per il ricorso al Giudice di Pace, è necessario pagare un contributo unificato (una tassa per iniziare un giudizio civile) e una marca da bollo: il contributo ha un costo minimo di 43 euro che aumenta all’aumentare della sanzione, mentre la marca ha un costo di 27 euro.
Per il ricorso al Prefetto, non ci sono spese da sostenere: non si dovrà pagare né il contributo unificato, né il bollo.

Altra differenza riguarda l’assistenza dell’avvocato.
Per il ricorso al Giudice di Pace, per le multe fino a 1.100 euro, non è necessaria l’assistenza dell’avvocato. Per le multe con importi maggiori, l’avvocato è necessario. Però, anche quando l’avvocato non è necessario, se vuoi procedere autonomamente, bisogna comunque conoscere le regole del processo civile così da evitare errori durante il giudizio e comprometterne l’esito.
I tempi saranno quelli della giustizia italiana (quindi, non certamente rapidi).
Invece, per il ricorso al prefetto, non è mai necessario l’avvocato. Non devi conoscere la procedura civile e non ci saranno udienze a cui partecipare. In tal caso, il Prefetto deve rispondere entro un certo termine e si applica la regola del silenzio-assenso:

  • se il ricorso è inviato al Prefetto, la risposta dovrà arrivare entro 210 giorni: se non c’è risposta entro questo termine o se arriva in ritardo, il ricorso si considera accolto e la multa viene annullata;
  • se il ricorso è inviato alla Polizia Municipale, la risposta del Prefetto dovrà arrivare entro 180 giorni e, se la risposta manca o è tardiva, il ricorso è accolto e c’è l’annullamento della multa.

Diverso è l’organo che decide.
Da un lato, c’è il Giudice di Pace: organo terzo ed imparziale rispetto alle parti. È un organo esperto di diritto e più portato ad interpretare le norme quando è richiesta la soluzione di questioni tecniche complesse.
Dall’altro lato, c’è il Prefetto: il superiore gerarchico dell’autorità che ha fatto la multa. Peraltro, non essendo un tecnico del diritto, il Prefetto è meno incline a quell’opera di interpretazione che può essere realizzata dal giudice per risolvere eventuali questioni giuridiche non semplici.

Occorre anche sapere che, in caso di rigetto del ricorso al Giudice di Pace, l’importo da pagare resta quello indicato nel verbale: cioè, la contravvenzione in misura ridotta.
Invece, se il Prefetto rigetta il ricorso, allora ci sarà la condanna a pagare la sanzione in misura piena: ossia, una somma pari a quasi il doppio del valore iniziale della sanzione.

Però, in entrambi i casi, si può “reagire” al rigetto del ricorso ed impugnarlo.
In caso di rigetto del ricorso al Giudice di Pace, si può proporre appello. Invece, contro il rigetto del ricorso da parte del Prefetto, si può presentare ricorso al Giudice di Pace nei successivi trenta giorni.


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Bagno nella Fontana di Trevi, due turiste multate: ma perchè è vietato bagnarsi come Anita Ekberg in La Dolce Vita?

Pubblicato il: 14/09/2023

Erano gli anni '60 quando Anita Ekberg si bagnava nella Fontana di Trevi nell'iconica scena del film "La Dolce Vita", invitando Marcello Mastroianni a seguirla. Quando si passeggia per Roma, è inevitabile pensare al capolavoro di Fellini, e forse qualcuno sarà stato sfiorato dall'idea di imitare l'attrice svedese e gettarsi nella Fontana dove, di solito, i visitatori lanciano monetine ed esprimono desideri.
Ci si può tuffare in una fontana pubblica per goliardia, o per combattere l'insopportabile calura estiva; tuttavia, vi sconsigliamo fortemente di farlo e vi spieghiamo il perché.
In primo luogo, è importante sapere che esistono divieti di bagnarsi nelle fontane pubbliche. Difatti, per ragioni di decoro e dignità dei luoghi, ma anche per motivi di igiene, i sindaci delle diverse località italiane hanno adottato ordinanze comunali con cui si vietano alcuni comportamenti, come tuffarsi nelle fontane, e si prevedono multe, anche salate, per i trasgressori di tali provvedimenti.

La previsione di tali misure può apparire severa, ma in realtà si è resa necessaria, soprattutto nelle città molto frequentate da turisti.
Il nostro paese è ricco di fontane, alcune di particolare interesse storico, come appunto la Fontana di Trevi. Molte di queste sono dotate di acqua potabile e rappresentano un po' un'oasi tanto bramata dai viaggiatori, nelle giornate più afose.
Tuttavia, non era raro vedere turisti, soprattutto stranieri, che si tuffavano nelle fontane pubbliche o che bivaccavano nei pressi delle stesse, consumando pasti e magari non provvedendo neppure a gettare la spazzatura creata. Il tutto a discapito del decoro e della dignità dei luoghi. Ed è per questo che le autorità hanno iniziato a mostrarsi sempre più intolleranti verso tali atteggiamenti, emettendo provvedimenti a tutela delle fontane, in particolare quelle di notevole interesse e valore storico.

Con l'introduzione di ordinanze e misure, ovviamente, tali fontane non sono divenute inaccessibili in toto, in quanto è sempre possibile, tendenzialmente, bere dalle stesse o riempire bottiglie e borracce, nonché rinfrescarsi sciacquandosi il viso e le mani. Sono invece vietate condotte come tuffarsi nelle fontane o comunque entrarvi, nonché anche il solo immergervi piedi o gambe.

Per quanto riguarda la città di Roma, in cui sono state multate domenica scorsa due turiste australiane, si evidenzia che, nel luglio del 2019, era entrato in vigore il Nuovo Regolamento di Polizia Urbana, contenente disposizioni varie, che vanno dalle multe a chi imbratta o deturpa monumenti e beni storici a quelle per i bagni nelle fontane. Il fine di tale Regolamento è, appunto, quello di tutelare la città, il suo decoro e la sicurezza dei cittadini.
In particolare, ai sensi dell'art. 8 del predetto Regolamento, relativo a fontane storiche, fontane e fontanelle pubbliche, "gli utenti devono fruire delle fontane storiche in modo tale da poterne garantire a tutti la libera e corretta godibilità", e vengono vietati diversi comportamenti, tra cui danneggiare le fontane o immergersi in esse, anche solo parzialmente. Non si vieta il lancio delle monetine ma, ex art. 8, comma 2 "è vietata la raccolta delle monete da parte di soggetti non autorizzati".
Come deliberato dalla Giunta Capitolina, le sanzioni pecuniarie per chi si bagna nelle fontane storiche, oppure fa un uso scorretto di fontane, fontanelle e dei cosiddetti “nasoni” (fontanelle tipiche di Roma), vanno dai 160 ai 450 euro, a seconda della gravità della violazione. Inoltre, per i comportamenti in violazione dell'art. 8, comma 1 del Regolamento di Polizia Urbana (danneggiare tali fontane, immergersi in esse, immergervi oggetti etc.), commessi in determinate aree, sono previste altresì le sanzioni e le misure di cui all’articolo 9 del Decreto Legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito con modificazioni in legge 18 aprile 2017, n. 48, ossia l'allontanamento dal luogo e il divieto di accesso (il cosiddetto daspo).

Proprio sulla base di tali disposizioni sono state sanzionate due giovani turiste australiane, che si sono tuffate nella Fontana di Trevi, nella serata di domenica scorsa. Gli agenti della Polizia locale, oltre ad emettere un daspo nei loro confronti, hanno comminato loro una multa di euro 450.

Adesso che sapete cosa rischiate, fate molta attenzione! Non abbiate paura di rinfrescarvi o bere dell'acqua ma, quando si tratta di fontane pubbliche, fate attenzione a non danneggiarle in alcun modo e, soprattutto, non provate a tuffarvi!


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Doping Pogba, rischia la risoluzione del contratto? E gli sponsor? Lo spiega un avvocato

Pubblicato il: 13/09/2023

Il mondo del calcio, in queste ore, è stato scosso dal caso Pogba: il giocatore francese, che attualmente è in forza alla Juventus, è risultato positivo al testosterone in seguito alla partita contro l’Udinese dello scorso 20 agosto 2023.
Dal canto suo, il calciatore si è giustificato sostenendo che, nel corso di una vacanza negli Stati Uniti, avrebbe preso un integratore consigliatogli da un amico medico. Il tuo tutto all’insaputa della Juventus.

Pogba rischia ora una pesante squalifica. Per il codice sportivo antidoping, qualora la positività venga confermata, il calciatore va incontro ad una squalifica che, a seconda delle circostanze, può andare da uno a quattro anni.

Però, bisogna aspettare le controanalisi per avere o meno la conferma della positività del giocatore francese. L’art. 18 del codice sportivo antidoping stabilisce che, entro tre giorni dalla comunicazione della positività, il calciatore può chiedere una seconda analisi. Questa ulteriore analisi deve essere fatta entro sette giorni lavorativi dalla domanda. Se il giocatore non dovesse richiedere la controanalisi o nel caso di secondo esame e conferma della positività, inizierebbe la fase istruttoria da parte della Procura antidoping.
Gli esiti possibili? L’archiviazione, il patteggiamento o il processo.

Tuttavia, per il francese i problemi non sono finiti. Infatti, devi sapere che, se la positività al testosterone dovesse essere accertata, la Juventus sta valutando la possibilità della risoluzione del contratto con l’atleta: cioè, la società calcistica sta pensando di sciogliere il contratto che garantisce a Pogba 10 milioni di euro netti all’anno fino al 2026.

Ma la Juventus può davvero decidere di chiudere il rapporto con il francese?

La risposta è sì. Quando si scopre un caso di doping (uso di sostanze proibite per aumentare le prestazioni sportive), la società, che è titolare del cartellino del calciatore, può adottare una serie di provvedimenti, fino ad arrivare alla conclusione anticipata del contratto.

Innanzitutto, la società può stabilire la sospensione dello stipendio per il periodo di sospensione in attesa del controllo definitivo.
La Juventus ha scelto di disporre questa misura nella vicenda Pogba: al momento, la società ha sospeso in via cautelativa l’erogazione dello stipendio al giocatore. Però, niente paura. Il francese continuerà a percepire il “minimo sindacale” che supera i 40 mila euro.

Inoltre, in aggiunta all’interruzione momentanea dello stipendio, la società potrebbe anche decidere di disporre l’allontanamento dell’atleta dalla squadra.

Infine, laddove la positività a sostanze proibite dovesse essere accertata definitivamente, la società, cui il giocatore appartiene, può addirittura arrivare alla risoluzione del contratto.
Infatti, in un contratto sportivo, non è raro che ci sia una clausola di risoluzione per doping: ossia, una clausola in virtù della quale, se un giocatore risulta essere positivo a sostanze vietate, il contratto può essere sciolto in modo automatico.
Peraltro, uno scioglimento automatico che non dipende dall’entità dell’eventuale squalifica per doping. Non importa se c’è il giocatore dovrà fermarsi per uno o per quattro anni. Il vincolo contrattuale viene mene per il solo fatto della positività del calciatore.

E non è finita qui. Dato che Pogba è un atleta famoso e testimonial di brand sportivi, non si può escludere che ci saranno conseguenze anche su questo versante. Non si può escludere che, nel caso di conferma di positività, per evitare un collegamento tra lo sportivo e il marchio, non ci possa essere una risoluzione automatica anche del contratto di sfruttamento dei diritti di immagine.

Non resta che aspettare l’evolversi della situazione e vedere come si comporteranno le società che hanno rapporti con il giocatore francese.


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