Attenzione a come sistemate i vasi di fiori sul balcone: multe pesanti o addirittura l’arresto

Pubblicato il: 06/09/2023

Vedere vasi ricolmi di fiori colorati nelle fioriere esterne ai balconi o appoggiate sui davanzali è sempre un piacere per gli occhi. Tuttavia quando si vive in un condominio e si decide di abbellire il proprio balcone, occorre farsi prima qualche domanda, affinché siamo sicuri che quel che facciamo ci sia concesso.

Infatti, anche se il balcone, si configura come prolungamento dei locali interni dell’appartamento e pertanto si considera come proprietà privata, prima di adornarlo con piante e fiori sarebbe meglio verificare cosa dice il regolamento condominiale sull’argomento.
Infatti, il regolamento condominiale, potrebbe limitare o addirittura vietare l’apposizione di piante e fiori o sporgenti dai balconi sui davanzali per motivi di sicurezza o per vietare magari che la caduta di fiori o foglie sporchino le abitazioni sottostanti.
In caso non sia posto alcun divieto dal regolamento condominiale, converrebbe controllare anche cosa prevede il regolamento comunale. Il comune di residenza, potrebbe infatti avere un particolare regolamento per fiori e piante per mantenere requisiti estetici o rispettare parametri di sicurezza.

Cosa succede se cade un vaso dal balcone?

Tolte le lamentele del vicino per i cocci rotti sparsi sul proprio terrazzo, vediamo quali conseguenze prevede la legge in caso di caduta di un vaso dal balcone.
In realtà, se per disattenzione non fissiamo bene un vaso alla fioriera oppure non ci accertiamo che la fioriera sia stabile, in caso di danni a persone o cose, causati dalla caduta del vaso, rischiamo conseguenze sia civili che penali.

Da un punto di vista civilistico, interviene l’art. 2051 c.c. per cui: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
In sostanza, secondo tale articolo, si è legalmente responsabili quando il danno è causato da un oggetto di cui avevamo “la custodia”. Ciò significa che, se vogliamo sistemare le piante in balcone, dobbiamo poi essere sicuri di farlo nel modo corretto, senza mettere i nostri vicini o i loro beni in pericolo.
In caso contrario, spetterà a noi risarcire l’eventuale danno. Ciò a meno che non dimostriamo che la caduta del vaso sia dipesa da una circostanza imprevedibile.

Da un punto di vista penale, invece, la caduta del vaso si configura come “getto pericoloso di cose” punito dall’art. 674 c.p.. Il reato punisce chiunque getta o versa, in un’area di trasporto pubblico o in uno spazio privato condiviso, oggetti capaci di imbrattare, offendere, sporcare o molestare le persone.
La pena prevista per questo reato prevede arresto fino ad un mese o una sanzione amministrativa di 206 euro.
Se poi la caduta dovesse causare lesioni o addirittura la morte di una persona, in tal caso le conseguenze sarebbero molto più devastanti, in quanto scatterebbero le pene previste per i reati di lesioni gravi o gravissime o, nell’ipotesi più nefasta, di omicidio. Oltre ovviamente al risarcire del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Anche in caso di caduta dal proprio balcone a quello del vicino sottostante di fiori, terriccio o foglie dai vasi può essere ricompreso nell’reato di cui all’art. 674 c.p.. Ciò in quanto, anche dei semplici petali possono recare molestie al vicino che sarà costretto a raccoglierli e buttarli per tener pulito il proprio balcone.


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Testamento Berlusconi, nessuno ha reclamato l’eredità social “milionaria” di Silvio: cosa dice il testamento del Cavaliere

Pubblicato il: 06/09/2023

Con la morte di Silvio Berlusconi, le notizie sul suo testamento si sono susseguite. Molto si è parlato della sorta del patrimonio materiale del Cavaliere. Poco, invece, si è detto sul destino sull'eredità digitale che ha lasciato Berlusconi e che, ad oggi, ancora nessuno lo ha reclamato.
Questo perché, probabilmente, tra le ultime volontà di Berlusconi inserita nel testamento , non c'è traccia delle disposizioni per il suo patrimonio digitale.

Devi sapere che, quando si parla di eredità digitale, ci si riferisce al trasferimento del patrimonio digitale di una persona defunta.
Il patrimonio digitale è un insieme di beni con valore economico patrimoniale (ad esempio, progetti, account, opere protette da copyright ) o anche solo affettivo (ad esempio, foto o video). In generale, si tratta di dati digitali che la persona ha lasciato online e negli hard disk dopo la sua morte . Di solito, sono dati protetti da password: per esempio, gli account sui social network o la casella di posta elettronica.

Nel caso di Berlusconi, l'attenzione cade sui vari profili social del leader di Forza Italia: ancora oggi, gli account di Berlusconi contano più di 2,8 milioni di followers (circa 1 milione e 500 mila su Facebook, 615 mila su Instagram, 285 mila su X-Twitter, circa 813 mila su TikTok ).

Si tratta di profili che hanno un grande valore economico , oltre che politico (dato che si tratta di Berlusconi). Infatti, forse non sai che un post pubblicato su un social network ha un suo valore economico. Di solito, questo valore economico si calcola moltiplicando il numero di contatti raggiunti per un CPM medio (cost per mille): il risultato è il valore pubblicitario del post .

Eppure, nonostante il valore economico e politico del patrimonio digitale lasciato da Berlusconi, nessuno degli eredi del Cavaliere sembra essere interessato a recuperare la sua eredità sociale .

Se le cose resteranno così, che fine faranno gli account di Berlusconi?

In linea generale, ogni social network procede in modo diverso.

Guarda Facebook , il profilo della persona morta continua ad essere attivo. Tuttavia, la piattaforma consente ai parenti del defunto di richiederla conversione della pagina del profilo in una pagina commemorativa . Inoltre, è comunque possibile anche richiedere la cancellazionedell'account .
Occorre anche sapere che Facebook non fornisce i dati di accesso all'account del morto: ciò sarebbe in violazione delle linee guida della rete.

Stesso discorso vale anche Instagram (che fa parte dello stesso gruppo di Facebook ).
Invece, per Twitter , è possibile attivare la cancellazione dell'account , ma non è possibile richiederlo la conversione in pagina commemorativa.

Certo, è vero che la legge italiana che esclude tutti i diritti passano agli eredi: cioè, la proprietà digitale del defunto passa direttamente all' erede (salvo che il testamento si stabilizza diversamente). Però, è anche vero che in concreto, per l' eredità digitale, ci sono delle difficoltà. In modo particolare, il patrimonio digitale potrebbe essere composto da servizi a cui si accede tramite delle credenziali (nome utente e password). Quasi sempre, tali credenziali sono conosciute soltanto dall'utente e non c'è possibilità di ottenerle. C'è il rischio concreto di non riuscire ad accedere ai dati.

Ecco perché, in generale, nel testamento, si consiglia di precisare le proprie volontà non solo circa il patrimonio materiale e fisico, ma anche circa l'eredità digitale (magari, ad esempio, lasciando una lista delle password all' erede prescelto).

Vedremo se il patrimonio digitale creato da Berlusconi sarà lasciato nell'oblio informatico oppure se uno degli eredi si farà avanti per gestirlo.


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Il lupo non è più un animale da proteggere secondo l’UE: da specie protetta a specie pericolosa

Pubblicato il: 06/09/2023

Al lupo al lupo! Non è solo la celebre favola di Esopo. La Commissione Europea mostra preoccupazione per la crescita della comunità dei lupi in Europa e sui possibili impatti sulla convivenza dell’animale con l’uomo. Pertanto, l'UE sta valutando di modificare lo status di specie protetta del lupo all’interno dell’Europa.

Per questo motivo, Bruxelles ha invitato enti locali e cittadini, scienziati e a tutte le parti interessate, a monitorare la presenza dei lupi nelle rispettive aree di competenza, tenendo in considerazione il loro impatto rispetto alla convivenza con l’uomo.
Tali dati aggiornati andranno poi comunicati entro il 22 settembre 2023. A tal proposito è stato creato un apposito indirizzo email a cui inviare la documentazione (ec-wolf-data-collection@ec.europa.eu).

Secondo i dati più recenti (gli ultimi risalgono alla fine del 2022) si contano circa 19mila esemplari di lupo in territorio europeo. Il numero salirebbe a 21mila se si considera l’Europa quale continente, quindi inserendo anche i Paesi fuori dall’UE. Da queste stime si prevede un possibile aumento della popolazione dei lupi di circa il 30% nei prossimi anni. Sono proprio questi numeri a destare preoccupazione nella comunità europea.

L’Italia è prima in Europa per numero di esemplari. Infatti, da un monitoraggio nazionale, eseguito tra 2020 e 2021, è stata stimata la presenza di 2945-3608 lupi sul territorio italiano, di cui 2020-2645 nelle regioni dell'Italia peninsulare e 822-1099 nelle regioni alpine. Analizzando i dati, gli stessi riportano una crescita esponenziale della popolazione dei lupi negli ultimi anni, soprattutto nelle regioni alpine .

Questa capacità di adattamento all'ambiente e al clima dell’area geografica che colonizza, unita a quella di specializzarsi nella caccia delle specie-preda più comuni in quella zona, fa sì che il lupo non abbia particolari esigenze ambientali, bensì sia lui ad adattarsi alle caratteristiche dell’area in cui decide di stabilirsi.
Tale situazione desta notevole preoccupazione per la Commissione europea. Difatti, si teme che, un’esponenziale diffusione dell’animale, potrebbe portare a problemi di convivenza con le comunità locali di agricoltori ed allevatori di bestiame, laddove gli stessi non siano ancora attrezzati a prevenire gli attacchi dei lupi.

Fa sapere l’Agi (Agenzia Giornalistica Italiana), riprendendo una nota della Commissione, che “la Commissione deciderà su una proposta volta a modificare, se del caso, lo status di protezione del lupo all’interno dell’Ue; e ad aggiornare il quadro giuridico per introdurre, dove necessario, ulteriore flessibilità, alla luce dell’evoluzione di questa specie”. Il tutto per tenere sotto controllo il diffondersi della specie.

Normativa sul lupo in Italia e in Europa
La Convenzione di Berna del 1979 e la Direttiva Habitat dell'UE del 1992 sulla conservazione degli habitat naturali e della fauna e flora selvatiche, classificano il lupo come una specie protetta e lo tutelano, vietandone la caccia e l’uccisione. Sul piano nazionale, la Legge 11 febbraio 1992 n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, inserisce il lupo tra le specie particolarmente protette.
Solo in casi eccezionali, la normativa vigente permette di derogare allo stato di protezione di questi animali. La soppressione, valutata attentamente caso per caso, avviene solo in caso di animali considerati “problematici” e solo a condizione che venga preservato uno “stato di conservazione soddisfacente", della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale”. E’ l'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che si occupa di questo aspetto in Italia.
Pertanto, ad oggi, non ci resta che aspettare cosa deciderà l’Europa.


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Autovelox, si può annullare la multa se non è segnalato correttamente: ecco le regole e come farsi annullare la multa

Pubblicato il: 06/09/2023

Alzi la mano chi, almeno una volta, in autostrada ha spinto un po’ troppo il piede sull’acceleratore, non accorgendosi dell’autovelox, e si è visto arrivare a casa una bella multa con tanto di decurtazione di punti dalla patente. Ci scommetto che siamo tanti. E quanti di voi sanno che quando l’autovelox non è piazzato ad una certa distanza la multa può essere annullata? Pochi, ci scommetto pure stavolta.

Per legge, ogni autovelox deve essere segnalato da un cartello posizionato prima della postazione del rilevatore elettronico della velocità. “Attenzione: controllo elettronico della velocità” la frase più utilizzata. Ma quali che siano le formule poco importa. Quello che conta è che l’avviso sia chiaro e leggibile. No graffiti o altre alterazioni. Messaggio visibile. Di dimensioni sufficienti a consentirne un’agevole lettura.
In caso di tutor, però, le cose stanno un po' diversamente: l'espressione che ne segnala la presenza deve specificare che si tratta di controllo elettronico della velocità media. A fine tratta controllata dal tutor deve essere, poi, segnalato anche che è terminato il controllo elettronico della velocità.

Visibilità dunque ma anche distanza. Questi i due requisiti imprescindibili che devono essere tutti e due soddisfatti in modo autonomo e distinto affinché la rilevazione dell’infrazione sia legittima.
Lo ha stabilito la Cassazione che, con ordinanza n. 25544 del 31 agosto 2023, ha messo al riparo il portafoglio dell’automobilista che si era visto comminare 550 euro di contravvenzione e decurtare i punti dalla patente per violazione dell’art. 142, co. 9, del Codice della strada. Sanzioni annullate dunque: l’apparecchio si trovava a meno di un chilometro dal cartello indicante la velocità massima. Spazzata via la tesi dell’Unione dei Comuni: l’ente locale sosteneva che la distanza tra la segnaletica e il rilevatore elettronico bastasse a permettere all’automobilista di decelerare, soprattutto considerando che il cartello si limitava semplicemente a ripetere il limite di velocità segnalato precedentemente.

Non conta. L’autovelox deve essere segnalato un chilometro esatto prima del rilevatore elettronico. Un chilometro. Punto. E la segnalazione deve essere ripetuta ogni volta che sia presente un incrocio, un’intersezione o un nuovo segnale di limite di velocità (anche se uguale al precedente).

Veniamo al sodo. Come si fa ricorso?
Ricevuta la multa per eccesso di velocità, lo sfortunato guidatore avrà a disposizione 30 giorni di tempo per presentare ricorso al Giudice di pace del luogo in cui è avvenuta l'infrazione. La procedura non richiede necessariamente l'assistenza di un avvocato.
Un altro modo per contestare la multa consiste nel ricorrere al Prefetto, inoltrando il ricorso questa volta entro 60 giorni dalla notifica della multa.
In caso di accoglimento, la multa sarà annullata e cadranno anche le sanzioni accessorie irrogate.


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Bestemmiare in pubblico è reato? Nuova moda in discoteca: bestemmie a suon di musica sulle note di Italodisco

Pubblicato il: 05/09/2023

Bestemmiare è un comportamento incivile, ma sai se ci sono conseguenze legali? La risposta è sì: infatti, anche se l’Italia è un Paese laico (come previsto dalla nostra Costituzione), la legge tutela il sentimento religioso, indipendentemente dalla confessione che si professa.

Quindi, può avere delle ripercussioni legali anche la moda dilagante nelle discoteche di modificare frasi di canzoni con bestemmie.
A tal riguardo, proprio una serata in una discoteca di Tortoreto sta attirando l’attenzione di molti. Su un social network (Tik Tok), sta girando il video della serata in cui un gruppo di giovani hanno cambiato alcuni versi della canzone “Italodisco” dei The Kolors con le bestemmie, con il dj che abbassa il volume e dice di non aver capito.
Il titolare della discoteca, dal canto suo, sostiene di non essersi accorto dell’accaduto in quel momento, prendendo le distanze dall’episodio.

Si tratta di una condotta che è sicuramente illegale e, quindi, non tollerata dall’ordinamento. Però, le bestemmie sono reato?

Fino al 1999, bestemmiare era un reato. Attualmente, l’imprecazione rivolta ad una Divinità non configura un reato, ma costituisce un illecito amministrativo. In particolare, l’art. 724 c.p. punisce il soggetto che pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità. Il bestemmiatore va incontro ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 51 a 309 euro.

Per essere sanzionata, la bestemmia deve essere pronunciata pubblicamente: cioè, seguendo quanto detto dalla Cassazione (sent. n. 7979 de 1992), la blasfemia deve avvenire in un luogo pubblico (ad esempio, strada o piazza) o in un luogo aperto al pubblico (come, ad esempio, bar, cinema, discoteca), alla presenza di almeno due persone.

Però, anche se bestemmiare non è reato, devi sapere che l’imprecazione può avere conseguenze penali quando si traduce in un’offesa rivolta contro i fedeli, i ministri di culto o le cose destinate al culto religioso.

L’art. 403 c.p. punisce colui che pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio rivolto a chi la professa. In tal caso, si va incontro alla pena della multa da 1.000 a 5.000 euro. Addirittura, la pena della multa aumenta da 2.000 a 6.000 euro quando il vilipendio riguarda un ministro del culto.

Con il termine “vilipendio” si fa riferimento a manifestazioni di disprezzo verbale, oltraggiose, le quali abbiano lo scopo di denigrare valori eticamente e socialmente rilevanti (nel nostro caso la religione).

In pratica, il reato c’è quando si offende la persona non in quanto tale, ma in quanto fedele o ministro di culto.

Ancora, l’art. 404 c.p. punisce il comportato di chi, in un luogo destinato al culto (ad esempio, una chiesa) o in un luogo pubblico o aperto al pubblico, offende una confessione religiosa mediante vilipendio, con espressioni ingiuriose, su cose che sono oggetto di culto (come, per esempio, le reliquie) o che sono consacrate al culto o che sono destinate necessariamente all’esercizio del culto (ad esempio, i paramenti). È prevista la pena della multa che va da 1.000 a 5.000 euro.

Quindi, anche tu adesso sei consapevole dei rischi che potresti correre difendo frasi che offendono la fede religiosa di una persona.


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Bonus Asilo Nido 2023 confermato fino a 3000 euro: ecco i requisiti e come richiederlo

Pubblicato il: 05/09/2023

Con l'arrivo di settembre, per molti genitori è tempo di iscrivere i propri figli all'asilo nido, soprattutto se c'è la necessità di rientrare al lavoro. Tuttavia, quella del nido è una spesa che si aggiunge a quelle quotidiane, e molti italiani, considerando il generale aumento del costo della vita, hanno difficoltà a sostenerla.
Ed è per questo che il Governo ha previsto il bonus asilo nido, ossia un contributo per il pagamento delle rette di asili nido, pubblici e privati autorizzati, nonché di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni che siano affetti da gravi patologie croniche che rendano impossibile la frequentazione del nido da parte degli stessi.
Tale misura di sostegno è stata introdotta già dall’art. 1, comma 355, della legge n. 232 del 11 dicembre 2016, che prevedeva un contributo massimo di 1.000 euro, aumentato poi ad euro 3.000 dall’art. 1, comma 343, della legge n. 160 del 27 dicembre 2019.
Come può leggersi anche nel messaggio n. 889 del 2 marzo 2023, consultabile sul sito dell'INPS, per l'anno 2023, il budget complessivamente disponibile per l’agevolazione è pari a 564,8 milioni di euro.

Se siete interessati a tale bonus, ovviamente vi starete chiedendo quali sono i requisiti per ottenerlo: scopriamoli insieme.
In primo luogo, la misura è erogabile nei confronti del genitore o del soggetto affidatario del minore che sostenga l'onere del pagamento della retta. Nel caso di richiesta di contributo per il supporto domiciliare, occorre anche il requisito della convivenza con il figlio per cui si richiede la prestazione.
Inoltre, ai sensi dell'art. 1 del D.P.C.M. del 17 febbraio 2017, chi richiede la misura deve possedere:

  • la cittadinanza italiana, oppure di uno Stato membro dell'Unione europea oppure, in caso di cittadino di Stato extracomunitario, permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni. Ai fini del bonus asilo nido 2023, sono inoltre equiparati tutti i cittadini stranieri aventi lo status di rifugiati politici o quello di protezione sussidiaria;
  • la residenza in Italia;

Come specificato anche dall'INPS, la prestazione spetta per ciascun figlio di età compresa tra 0 e 36 mesi e, se il minore per cui si vuole presentare la domanda compie i tre anni d’età nel corso del 2023, sarà possibile richiedere soltanto le mensilità comprese tra gennaio e agosto. Ma come va presentata la domanda e cosa bisogna allegare?

La domanda deve essere presentata in via telematica, accedendo al portale web dell'INPS tramite SPID, Carta di identità elettronica (CIE) o Carta Nazionale dei Servizi (CNS), oppure recandosi presso gli Istituti di Patronato.
E per quanto riguarda la documentazione da allegare?
Nel caso di domanda di contributo per il pagamento delle rette dell’asilo nido, che va presentata dal genitore o dal soggetto affidatario del minore stesso che ne sostiene l’onere, devono essere indicate le mensilità relative ai periodi di frequenza scolastica, compresi tra gennaio e dicembre 2023, per le quali si richiede il beneficio, fino ad un massimo di 11 mensilità. A tale domanda vanno allegate le ricevute che attestano il pagamento delle rette; nel caso non vengano allegate alla domanda, andranno comunque presentate entro il 31 luglio 2024.

Ma concretamente, a quanto ammonta il contributo che si può ricevere? Questo dipende dal valore dell'ISEE minorenni. Per quanto riguarda il pagamento delle rate dell’asilo nido, si guarda all'ISEE minorenni presente l’ultimo giorno del mese precedente a cui si riferisce la mensilità.
In particolare, si avrà diritto a:

  • un massimo di 3.000 euro (dieci rate da 272,73 euro e una da 272,70 euro), nell’ipotesi di ISEE minorenni in corso di validità fino a 25.000 euro;
  • un massimo di 2.500 euro (dieci rate da 227,27 euro e una da 227,30 euro), nell'ipotesi di ISEE minorenni che vada da 25.001 euro a 40.000 euro;
  • un massimo di 1.500 euro (dieci rate da 136,37 euro e una da 136,30 euro), nell'ipotesi di ISEE minorenni oltre la soglia di 40.000 euro o nel caso assenza di ISEE minorenni o di ISEE con omissioni e/o difformità dei dati del patrimonio mobiliare e/o dei dati reddituali autodichiarati, o ISEE discordante.

Per quanto riguarda, invece, la domanda di contributo per il supporto domiciliare, che va presentata dal genitore o dal soggetto affidatario del minore che sia convivente con il figlio per il quale è richiesta la prestazione, alla stessa va allegata relativa attestazione del pediatra che accerti l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido, a causa di una grave patologia.
Il contributo per le forme di supporto presso la propria abitazione verrà erogato in un'unica soluzione al richiedente, fino all’importo massimo concedibile. Per calcolare l'importo, sarà considerato l’ISEE minorenni in corso di validità l’ultimo giorno del mese precedente a quello di presentazione della domanda.
In assenza dell’ISEE valido o qualora sia richiesto dal genitore che non rientra nel nucleo familiare del minore, il contributo verrà erogato ratealmente in misura complessiva non superiore a 1.500 euro annui. Qualora sia successivamente presentato un ISEE minorenni valido, a partire dalla data di attestazione dello stesso, sarà corrisposto l’importo maggiorato, sussistendone i requisiti, e non verranno disposti conguagli per le rate antecedenti.
Nel caso in cui l’ISEE presenti omissioni e/o difformità, l’importo verrà erogato nella misura minima, ma il richiedente ha comunque la possibilità di regolarizzare la sua situazione.

Ecco tutto quello che vi occorre sapere per presentare domanda per il bonus asilo nido 2023. Se siete indecisi, perché magari non potete sostenere tale spesa, approfittate del contributo messo a disposizione dal Governo.


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Mancato rientro a lavoro dalle ferie: cosa succede se non mi presento a lavoro dopo le ferie?

Pubblicato il: 05/09/2023

Agosto è terminato e per molti lavoratori significa solo una cosa: le ferie sono finite. Si rientra a casa, si disfano le valigie, e ci si prepara a ritornare alla vita di tutti i giorni. Riabituarsi alla routine non è semplice, ma quel che è più faticoso è l'idea di rientrare a lavoro.
Vi sarà capitato, la sera prima del fatidico giorno, di pensare: "e se domani me ne stessi a casa?" Un'idea senza alcun dubbio allettante, ma cosa rischia chi non si presenta al termine del periodo di ferie? Scopriamolo insieme.

Prima di tutto, è opportuno ricordare che il diritto alle ferie è un diritto irrinunciabile del lavoratore, sancito dall'art. 36, comma 3 della Costituzione, che afferma che il lavoratore "ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi"
Qualora il lavoratore non usufruisca del periodo di ferie che gli spetta, per cause a lui non imputabili, ha diritto all'indennità sostitutiva per ferie non godute.
Anche il Codice Civile prevede norme in materia. In particolare, ai sensi dell'art.2243 del Codice Civile, il prestatore di lavoro, oltre al riposo settimanale, ha diritto ad un periodo di ferie retribuito, che non può essere inferiore ad otto giorni. Inoltre, ex art. 2109, comma 2 del Codice Civile, il periodo di ferie deve essere possibilmente continuativo, "nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro." La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità.

Altra fonte in materia di ferie è il Decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66, che attua le direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. In particolare, l'art. 10 di tale decreto prevede che, fermo restando quanto previsto dall'art. 2109 del Codice Civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2 del decreto, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione.
Inoltre, ai sensi del comma 2 dell'art. 10, il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Ma cosa succede concretamente se il lavoratore, una volta usufruito del periodo di ferie, non rientra a lavoro? Ci si può svegliare la mattina e decidere di starsene a casa, senza fornire una giustificazione al datore di lavoro? È evidente che questo non è possibile, poiché si incorrerebbe in un inadempimento del contratto di lavoro, e il lavoratore rischia di conseguenza un provvedimento disciplinare.
Il procedimento disciplinare è regolato dall'art. 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), nonché dalla contrattazione collettiva che si applica al rapporto di lavoro. La maggior parte dei CCNL qualifica il mancato rientro dalle ferie come assenza ingiustificata.
Una volta che il datore di lavoro accerti l'assenza del lavoratore, prima di adottare la sanzione prevista dal CCNL di riferimento, dovrà procedere alla contestazione dell'addebito al dipendente, che avrà un termine entro cui far pervenire le proprie giustificazioni.
Ma quali provvedimenti disciplinari rischia il lavoratore che non osserva le disposizioni previste dal contratto collettivo applicato? A seconda della gravità dell'infrazione, il prestatore di lavoro può essere sanzionato con:

  • richiamo verbale;
  • ammonizione scritta;
  • multa;
  • sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un periodo massimo stabilito dal CCNL;
  • licenziamento disciplinare;

Di conseguenza, onde evitare di ricevere una sanzione, vi consigliamo di stringere i denti e rientrare al lavoro al termine delle ferie, anche se è faticoso!

Ovviamente, diverso è il discorso nel caso in cui il mancato rientro dipenda dall'insorgere della malattia. Qui abbiamo già parlato del caso in cui ci si ammali durante il periodo di ferie. In sostanza, qualora il lavoratore in vacanza sia colpito da malattia, che vada ad impedire le finalità di riposo per le quali il diritto alle ferie è previsto, il dipendente ha diritto alla sospensione delle stesse, sempre che abbia adempiuto al proprio dovere di comunicare l'assenza per malattia al datore di lavoro e sottoporsi a visita, in modo da avere il certificato medico da trasmettere all'INPS.
Sono questi gli adempimenti a cui è tenuto il dipendente nel caso non si presenti al lavoro per un problema di salute. In questi casi, naturalmente, l'assenza non potrà ritenersi ingiustificata e non si rischierà alcun provvedimento disciplinare. Ricordatevi, però, di non fare i furbetti, perché in qualsiasi momento potreste ricevere la visita fiscale da parte dell'INPS.


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Posso chiamare mio figlio Goku o Doraemon? Vediamo quali sono i nomi vietati dalla legge

Pubblicato il: 05/09/2023

La scelta del nome di un figlio è uno dei momenti più emozionanti per tutti i neogenitori.
Fino a qualche decennio fa, quando si trattava di dare i nomi ai propri figli, il massimo della fantasia era rappresentato dal chiamarli con il nome dei nonni paterni o materni. Nel 2023 la creatività è decisamente impazzata, e certe volte, a discapito anche del buon gusto. E se vi dicessimo che in Italia vi sono alcuni nomi che non si possono dare ai figli e che risultano vietati dalla legge? Quali sono?
La legge italiana, in particolare l’art. 34 del D.P.R. 396/2000, non proibisce nomi specifici ma distingue diverse tipologie di nomi vietati.

Nomi dei parenti
La prima categoria vietata è quella dei parenti più stetti per evitare omonimie in famiglia. Nello specifico,
è vietato chiamare il figlio con il nome del padre o di un fratello oppure la figlia con il nome della madre o di una sorella. Al bando anche l’abitudine che hanno negli Stati Uniti, di dare al bambino il nome del padre o dello zio con l’aggiunta “Junior”. Quindi, Antonio Rossi non potrà chiamare il suo bambino “Antonio Junior” ma dovrà scegliere un’alternativa.

Nomi di personaggi storici
È vietato dare ai propri figli il nome di personaggi storici che hanno rappresentato figure dittatoriali che hanno una connotazione negativa nella storia, quali: Adolf Hitler; Osama Bin Laden; Benito Mussolini; Iosif Vissarionovich Stalin.

Nomi di personaggi dello spettacolo, dello sport o nomi di fantasia
Vietati anche usare il cognome dei personaggi dello spettacolo o dello sport come nome proprio. Ad esempio, non si potrà chiamare un bambino Maradona oppure Presley ma si potrà chiamare Diego Armando o Elvis.
Ancora, non è consentito chiamare il figlio con nomi inventati dai genitori stessi oppure nomi di fantasia appartenenti a serie tv, film, cartoni animati o tratti dai libri quali: Goku o Doraemon (personaggi degli anime giapponesi), Arthur Fonzarelli (personaggio di Happy days), Jane Bennett (dal romanzo Orgoglio e Pregiudizio).

Nomi ridicoli o vergognosi
Vietato anche per non creare imbarazzo o ambiguità dare nomi maschili alle bambine o nomi femminili ai maschietti. Andrea è una delle rare eccezioni, considerato un nome unisex.
Un nome è considerato ridicolo o anche vergognoso qualora possa risultare lesivo della dignità del minore. E' vietato utilizzare parolacce o ingiurie, come nome. Aboliti, inoltre, nomi che in abbinamento al cognome creino risultato bizzarri o imbarazzanti come potrebbe risultare: Felice Mastronzo (modificato poi in Mastranzo) o Buonanno Felice. Tali nomi sono vietati perché lesivi della dignità del minore.

Nell’ipotesi in cui si dovesse scegliere un nome che non è consentito dalla legge, l’ufficiale dello stato civile, se i genitori non vogliono modificare il nome, sarà tenuto a formare l’atto di nascita e a notiziare dell’accaduto la Procura della Repubblica, la quale avvierà un giudizio per la rettifica del nome. La legge prevede che i genitori non possano attribuirgli un nome che rischi di procurargli in futuro un pregiudizio morale. Ciò, al fine di proteggere la dignità del nascituro.
In conclusione, considerato che il nome accompagnerà una persona per tutta la vita, bisogna usare un po' di buon senso quando se ne sceglie uno. Quindi, va bene essere originali ma senza esagerare.


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Eredità, il figlio deve restituire agli altri eredi i soldi che ha ricevuto dal genitore con cui viveva?

Pubblicato il: 04/09/2023

La legge prevede che i legittimari (coniuge e figli o, in mancanza, i genitori) hanno diritto ad una quota dell’eredità del defunto che non può essere negata. Mai e in nessuna maniera. E se te lo stai chiedendo: no, la legittima non può essere lesa nemmeno con testamento. Qualora, pertanto, i legittimari vedano intaccata la propria quota di legittima, possono, entro 10 anni dall’apertura della successione, impugnare il testamento e, se ciò non dovesse essere sufficiente per il reintegro della propria quota, chiedere la revoca delle donazioni fatte in vita dal defunto.

Cos’è una donazione?

Si tratta del “contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione” Art.769 c.c. Per spirito di liberalità si intende la volontà di arricchire l’altra parte senza aspettarsi nulla in cambio.
È chiaro che le donazioni fatte in vita dal donante possono incidere in maniera significativa sul complesso assetto patrimoniale del defunto e impoverire potenzialmente la quota di eredità spettante ai legittimari. I quali, lo abbiamo detto prima, possono agire entro 10 anni dalla morte del de cuius con l’azione di riduzione per lesione di legittima.

Cosa succede quando la donazione sia fatta in favore di un legittimario?

La donazione fatta a legittimari del donante è considerata dalla legge un anticipo di eredità. Questo vuol dire che al momento della morte del donante la donazione dovrà essere imputata alla quota riservata.
Facciamo un esempio: Tizio, padre di due figli e non coniugato, decede senza fare testamento e lasciando un patrimonio residuo di 300.000 euro. Il primo figlio (Caio) ha ricevuto dal padre, quando era ancora in vita, una donazione del valore di 20.000 euro. Il secondo figlio (Sempronio), al contrario, non ha ricevuto alcunché a titolo di donazione. All’apertura della successione Caio sarà tenuto a conferire nella massa ereditaria quanto ricevuto per donazione (20.000 euro), portando l’eredità di Tizio, che dovrà essere divisa fra i due figli, a 320.000 euro.

Ma cosa accade quando somme di denaro siano state date dal genitore al figlio che con esso conviveva?

Esempio: Tizio, padre di due figli e non coniugato, decede senza fare testamento e lascia un patrimonio residuo di 300.000 euro. In vita ha dato, periodicamente, al primo figlio Caio, con lui convivente, parte della sua pensione (per un totale di 20.000 euro) che Caio ha usato per fare la spesa, acquistare medicinali, pagare bollette. Il secondo figlio Sempronio, non convivente, non ha ricevuto mai nessun soldo dal padre. Alla morte di Tizio, la pensione data a Caio (20.000 euro) deve essere conferita, come nell'esempio precedente, nella massa ereditaria del defunto al fine di essere equamente divisa tra tutti e due i figli?

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n.18814 del 4 luglio 2023.

Il fatto: una madre, durante il periodo di convivenza con la figlia, aveva elargito a favore di quest’ultima e dei suoi bisogni quotidiani, parte della sua pensione. Dopo la morte della donna, gli altri suoi figli agivano contro la sorella avanzando la tesi secondo cui quel denaro avrebbe dovuto essere considerato parte dell’eredità e quindi soggetto a collazione. Dopo le decisioni di entrambi i giudici di merito che avevano accolto la domanda dei fratelli e condannato la figlia della de cuius alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto dalla madre durante la loro convivenza, la condannata ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte con l’ordinanza n. 18814/2023 respingeva la tesi dei due fratelli e sanciva il principio per cui non sono soggette a collazione le attribuzioni patrimoniali operate in favore del figlio convivente se non si dimostra lo spirito di liberalità e che quindi non siano state fatte per adempiere alle obbligazioni derivanti dalla convivenza.


Per cui alla domanda che ci siamo prima posti dovremo rispondere che: no, la pensione data a Caio non deve considerarsi anticipazione di eredità in quanto le somme elargite dal padre (Tizio) al figlio convivente (Caio) sono state da quest’ultimo utilizzate per l’adempimento di obbligazioni nascenti dalla convivenza piuttosto che dallo spirito di liberalità.

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Avvocati, da oggi gli atti dovranno essere chiari e sintetici: ecco le nuove regole del Decreto Ministeriale n. 110/2023

Pubblicato il: 04/09/2023

Citazione e ricorso: 40 pagine
Memorie difensive: 40 pagine
Memorie e repliche: 26 pagine
Interlinea: 1,5
Margini: 2,5 centimetri
Dimensione carattere: 12 punti
Note: 0
Spazi: q.b.

Non stiamo dando i numeri. È la ricetta aggiornata dell’atto processuale perfetto. Non adatta alle controversie con valore al di sopra dei 500.000 euro.

Dal 1° settembre è, infatti, in vigore il decreto del Ministro della Giustizia 7 agosto 2023 n. 110 che reca il regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’art. 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile. Il decreto si applicherà ai procedimenti introdotti dopo il 1° settembre 2023.

Come dovranno essere articolari gli atti processuali e quali dimensioni dovranno avere?
Con l’entrata in vigore del decreto gli atti processuali delle parti private e del pubblico ministero dovranno essere chiari e sintetici. A tal fine l’art. 2 del decreto ne prevede una specifica articolazione:

  • Intestazione (con indicazione dell'ufficio giudiziario e della tipologia di atto)
  • Parti (contenente ogni indicazione richiesta dalla legge)
  • Parole chiave (massimo 20);
  • Estremi del provvedimento impugnato (nelle impugnazioni);
  • Fatti e motivi in diritto (con indicazione specifica e distinta in parti dell'atto separate e rubricate)
  • Documenti offerti in comunicazione;
  • Questioni pregiudiziali, preliminari e di merito;
  • Conclusioni;
  • Mezzi di prova;
  • Valore della controversia;
  • Richiesta di distrazione delle spese;
  • Provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Mentre l’art. 3 fornisce le dosi esatte per ciascun atto processuale: 80.000 caratteri (corrispondenti approssimativamente a 40 pagine) per citazione e ricorso, comparsa di risposta e memoria difensiva, atti di intervento e chiamata di terzi, comparse e note conclusionali. Memorie e repliche, invece, dovranno essere contenute nel limite di 50.000 caratteri (corrispondenti all’incirca a 26 pagine). Aggiungere note a filo: sono ammesse solo per riferimenti di giurisprudenza e dottrina.

Sono previste deroghe?
Gli intolleranti alla sinteticità (perché la controversia è di particolare complessità, “anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti”) possono aumentare le dosi, avendo cura di indicare, con una esposizione sintetica nell’atto, le ragioni per le quali si è reso necessario il superamento del dei limiti.

Redige i provvedimenti in modo chiaro e sintetico, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 2 e 6 in quanto compatibili, anche l'organo decisionale. Le dimensioni degli atti e dei provvedimenti del giudice, invece, sono correlate alla complessità della controversia, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti.

Quali conseguenze in caso di mancato rispetto del regolamento?
Se, avvocati, non seguirete la ricetta alla lettera, l’atto vi riuscirà lo stesso ma il sapore potrebbe essere leggermente diverso: la mancata osservanza delle forme, dei limiti di redazione e dello schema informatico non comporta invalidità infatti, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo così come disposto dall’art. 46, comma 4, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.


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